STRANGER TEACHING

di Stefano Rossi

 

 

Cari Guitar-Nauti,

Torna la rubrica “STRANGER TEACHING“!

È come sempre un grande piacere per me dare spazio a Stefano Rossi, qui sulle colonne di Lezioni-Chitarra.it. Stefano è un esperto chitarrista e insegnante, e attraverso questa rubrica ci parla di didattica, di chitarra, di musica in generale ma anche di rapporti umani nell’ambito della formazione. Ma perché “Stranger Teaching”? Perché, a differenza degli articoli dal tenore giornalistico che abbiamo pubblicato finora, lo sguardo di Stefano è molto più ironico, libero nell’espressione, a tratti dissacrante. E alcuni dei temi trattati sono così seri e eternamente irrisolti che l’unico modo per trattarli è, in definitiva, con l’ironia 😉 Buona lettura! – Claudio.

 

Uno degli aspetti più controversi della musica è il concetto di improvvisazione. Per alcuni è il fulcro dell’abilità del musicista, per altri è addirittura un concetto da evitare assolutamente, come se rappresentasse un modo meno nobile di produrre musica.

Ma anche nella cerchia di coloro che adorano l’arte improvvisativa c’è una spaccatura. Infatti qualcuno sostiene che l’improvvisazione dovrebbe essere completamente spontanea e libera da qualunque schema. Altri invece pensano che la perfezione si raggiunga solamente con uno studio approfondito di qualunque sequenza armonica e melodica, rendendola una sorta di gioco matematico.

Qual è l’approccio giusto? Con quale di questi due elementi otterrò i risultati migliori?

 

Un gioco da bambini

Credo che la maggior parte di chi ha iniziato a suonare uno strumento (soprattutto noi chitarristi, che spesso ci ritroviamo a casa una chitarra senza nemmeno sapere come) abbia provato a far uscire delle note suonando a casaccio. È un processo istintivo di chi ha una certa curiosità o interesse per la musica, che effettuiamo sia in tenera età, sia da adulti.

 

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È anche il modo più veloce per farci regalare un corso di strumento.

 

Questo processo di scoperta è tanto più appagante quanto più raggiungeremo la capacità di riprodurre inizialmente qualcosa che già conosciamo: è per questo che i bambini si divertono molto davanti a un pianoforte. Una semplice pressione di un tasto e stiamo già suonando, e le note sono ordinate perfettamente in modo logico in ordine di altezza. So già che i chitarristi che stanno leggendo penseranno “ma anche la chitarra funziona così!”. Questo perché abbiamo resa nostra la logica della chitarra dopo ore di suonate ed esercizi. Nel corso degli anni ho avuto a che fare con tantissimi allievi, soprattutto bambini, che dovendo approcciarsi allo strumento non sapevano cosa dovevano fare per saper produrre dei suoni dai più gravi ai più acuti. Qualche indicazione pratica e tutto si risolve.

Io stesso da bambino avevo una pianola della Bontempi che mi era stata regalata e con cui mi divertivo a trovare le colonne sonore dei videogiochi. E a volte mi inventavo delle melodie che poi facevo ascoltare ai miei parenti, ovviamente con scarsi risultati. Ma questo approccio avventuroso mi ha accompagnato anche nei primi momenti chitarristici: ho cercato di inventare della musica con qualunque elemento mi venisse spiegato, spinto anche da dei coetanei che già suonavano e che passavano i pomeriggi improvvisando.

 

L’utilità di un dizionario musicale

Dopo un paio di anni passati in questa situazione, dove fondamentalmente improvvisavo a caso basandomi unicamente su ciò che il mio orecchio interpretava come buono o cattivo, decisi che ne volevo sapere di più e iniziai a studiare seriamente la teoria musicale.

Sarebbe riduttivo se scrivessi “mi si è aperto un mondo“: diciamo piuttosto che mi si spalancò un intero universo di nuove possibilità.

 

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Fenomenali poteri cosmici in un minuscolo libro di armonia!

 

Finalmente avevo la possibilità di capire perché una scala suonasse bene su un certo accordo, come intrecciare una melodia con altre linee armonizzate. In altre parole, riuscivo a dare un nome a ciò che avrei voluto esprimere. Ogni struttura musicale ha una peculiarità: si possono ottenere sonorità allegre o malinconiche, dirette o astratte. Una vastissima gamma di sensazioni, tutte provenienti dalle stesse 12 note (solo perché rimaniamo nel nostro sistema musicale!!!).

Riuscire a mettere una precisa etichetta a queste sensazioni mi ha permesso di richiamarla velocemente qualora la volessi esprimere, come se avessi riordinato in ordine alfabetico il ripiano delle spezie in cucina. Sai perfettamente che lo zenzero sarà l’ultimo, quindi non devi cercare tra le etichette fino a che non lo trovi.

 

Ragione e sentimento

Ora, mi sfugge onestamente perché la musica dovrebbe essere solamente spontanea o unicamente ragionata. La buona musica è produttrice di emozioni, qualsiasi esse siano, ed è questa la parte realmente importante. Perché dovrebbe contare qualcosa il modo in cui sono state prodotte?

 

Un giorno un allievo mi disse: “io credo che continuando a studiare teoria musicale perderò il gusto di ascoltare la musica. Capire così a fondo il suo funzionamento mi farà perdere quella sensazione spontanea che ne ho all’ascolto”.

Credo di non aver mai sentito un tentativo di giustificazione più brillante per il non aver voglia di studiare.

Quindi se studiamo meccanica non ci piacciono più le moto. Se mangiamo un pomodoro da solo non ci piace più la pizza. Se studiamo anatomia diventiamo misantropi?!

 

Non c’è alcuna ragione di perdere interesse nella musica se il nostro vocabolario cresce. Anzi, sarà solo un modo ulteriore che abbiamo per esprimerci. Chiaramente non basta solamente questo: l’arte della composizione non richiede solamente una conoscenza approfondita della teoria. Bastasse questo, il mondo sarebbe pieno di compositori brillanti.

Ma questo vale anche per l’improvvisazione? Certo. Il miglior modo di definire un’improvvisazione è “composizione istantanea”. In quel momento chi sta suonando cerca di esprimere ciò che sente attraverso le note e le strutture, e lo fa richiamando tutto ciò che è il suo bagaglio culturale precedente, trasformandolo in espressione.

E la cosa più bella è che conoscendo le regole si capisce anche come infrangerle: lo studio della musica è anche sperimentazione, e nessuno ci vieta di provare a utilizzare strutture che ci inventiamo completamente per sentire cosa ne ricaviamo (avete mai provato un lidio seconda minore? Io sì. Fa schifo. Ma provatelo!).

 

È solo nell’unione della logica con l’emotività che possiamo trovare la buona musica. E chi pensa che suonare a livelli eccellenti sia semplicemente una cosa innata, è semplicemente troppo pigro per mettersi a studiare.

 

“Perchè studiare dovrebbe toglierti il cuore? Quando impari cose nuove, nessuno ti porterà via ciò che hai dentro” [Frank Gambale, durante un seminario diversi anni fa]

 

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Lo sapete che parla italiano, pure?
Con la stessa pronuncia di Joe Bastianich!

 

Stefano Rossi

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