STRANGER TEACHING

di Stefano Rossi

 

 

Cari Guitar-Nauti,

Torna la rubrica “STRANGER TEACHING“!

È come sempre un grande piacere per me dare spazio a Stefano Rossi, qui sulle colonne di Lezioni-Chitarra.it. Stefano è un esperto chitarrista e insegnante, e attraverso questa rubrica ci parla di didattica, di chitarra, di musica in generale ma anche di rapporti umani nell’ambito della formazione. Ma perché “Stranger Teaching”? Perché, a differenza degli articoli dal tenore giornalistico che abbiamo pubblicato finora, lo sguardo di Stefano è molto più ironico, libero nell’espressione, a tratti dissacrante. E alcuni dei temi trattati sono così seri e eternamente irrisolti che l’unico modo per trattarli è, in definitiva, con l’ironia 😉 Buona lettura! – Claudio.

 

Capita a tutti, durante lo studio del proprio strumento, di giungere a un punto dove proviamo una grande soddisfazione nel risultato che abbiamo raggiunto. È ciò che ci porta al continuo miglioramento e che ci spinge a esercitarci costantemente.

A volte però accade che, raggiunto un determinato scopo, si abbia l’impressione di aver finito il proprio percorso: abbiamo imparato tutto ciò che volevamo sapere e quindi non siamo più spinti a scoprire elementi nuovi della musica.

Preciso a tutti voi, miei lettori, che anche solo scrivendo la frase precedente mi stava venendo l’orticaria.

 

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Sì lo so. Vi aspettavate la foto dell’orticaria. Ma ve la risparmio.
Se proprio avete il gusto dell’orrido, Google immagini vi sarà complice.

 

Ora, partiamo dal mio personale pensiero: chiunque pensa di essere arrivato, quindi di aver raggiunto il proprio massimo grado di conoscenza di un qualsiasi argomento, è un emerito idiota. In qualunque campo, scientifico o artistico che sia, la costante di chi raggiunge i massimi livelli di espressione è sempre stata la continua e incessante ricerca del miglioramento.

Non fraintendiamo però: questo non significa che artisti o scienziati che hanno dato un grande contributo al proprio campo non possano, a un certo momento della loro carriera, fermarsi e finalmente riposarsi perdendo lo status di eccellenza che hanno raggiunto con gli anni. A loro va tutto il rispetto dovuto a chiunque, tramite l’impegno e la costanza, sia giunto a espressioni di comunicatività e intelletto superiori agli altri esseri umani.

Il punto della questione è però un altro: che la maggior parte di chi “si sente arrivato” non è nemmeno lontanamente paragonabile a chi la vera eccellenza l’ha raggiunta davvero.

 

L’effetto Dunning – Kruger

Se i nomi riportati sopra non vi sono familiari (anche se a me ricordano, non so perché, una marca di trapani elettrici) vi consiglio di dare un’occhiata a questa pagina Wikipedia. Per chiunque non avesse tempo e voglia di leggerla, l’effetto Dunning – Krueger è una distorsione cognitiva per cui individui poco esperti in un determinato campo arrivano a sopravvalutare le proprie abilità, autovalutandosi come esperti in materia. Ne deriva da questo il fatto che solitamente gli incompetenti si rivelano essere estremamente supponenti.

 

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“E questo, signori e signore, è il riassunto di cio che è Internet!”

 

Il web ha dato incredibili possibilità di intercomunicazione alle persone, che in questo modo si sentono spesso addirittura in dovere di dire la propria anche in argomenti sui quali non sono nemmeno informati. E questo accade un po’ in ogni ambito. Arte, scienza, politica, vita sociale: non esiste un campo dove le persone, tramite il web, non abbiano urlato a gran voce per sostenere le prorie idee prive di qualunque base logica o di conoscenza.
Ma senza divagare troppo, rimaniamo nella musica.

 

Prof, mi giustifico. Me lo chieda la prossima volta.

Nel corso di tanti anni di insegnamento, mi è capitato diverse volte di avere a che fare con allievi che pensavano di essere più preparati di quanto effettivamente fossero. Il fenomeno si verifica soprattutto negli adulti. Per essere precisi, dai 20 anni in su (anche se io, alla tenera età di 35 anni, non credo di essere ancora considerabile come un adulto responsabile).

 

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In foto: il sottoscritto che combatte la sindrome di Peter Pan facendosi una foto con Peter Pan.

 

Definirei la situazione che si crea in questa circostanza quasi comica: io cerco di capire se l’allievo, già in grado di suonare qualcosa sulla chitarra, è a conoscenza di ciò che gli vorrei spiegare, in modo da risparmiargli eventualmente tempo. E lo scenario è il seguente:

Io: “Sai cos’è la scala minore naturale?”
Allievo: “Sì certo l’ho già studiata.”
Io: “Bene! Mi suoni una scala di Sol minore?”
Allievo: “Ehm… ah beh non la so questa, però me la riguardo a casa, intanto spiegami qualcos’altro.”
Io: “Se non la sai in Sol proviamo in La minore, fammi sentire!”
Allievo: “Eh ora mi sfugge, ma passiamo oltre che così riguardo da solo a casa.”

Le prime volte soprassedevo e facevo come mi si chiedeva, ossia spiegavo qualcosa di più avanzato. Il risultato? Buchi enormi sulla preparazione. Dopo un paio di lezioni usciva che effettivamente ciò che avevo chiesto non era chiaro già nel principio, e spesso il solo sentir nominare una struttura musicale rendeva l’allievo sicuro della propria conoscenza in merito. Dato che personalmente tengo alla preparazione dei miei studenti, a costo di dimostrarmi insolente ho iniziato a comportarmi diversamente: pretendo la conoscenza teorica e pratica dell’argomento prima di passare oltre.

Ma non parliamo solo di teoria e di diteggiature in questo ambito…

 

Il grande musicista della porta accanto

C’è anche chi è assolutamente convinto di essere un ottimo musicista (sia a livello compositivo, sia improvvisativo) semplicemente perché ha una buona gestualità di base o ha scritto un paio di brani.
Prendiamo un’altra scena di vita vissuta:

Io: “L’improvvisazione va bene, però dovresti aprire un po’ più la sonorità utilizzando più arpeggi.”
Allievo: “Ah beh ma a me piace così. La mia è una scelta stilistica.”
Io: “Capisco, mi fai vedere le posizioni degli arpeggi che dovevi applicare per oggi nell’improvvisazione?”
Allievo: “[mutismo…]”

Allucinante. È l’unica parola che mi esce pensando a questo scenario. Mascherare un proprio difetto come una scelta è come se un sollevatore di pesi dicesse di non voler alzare più di un certo peso per “spirito sportivo”.

 

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Quanta antisportività in una sola foto.

 

Ciò che più mi stupisce è che le stesse persone pagano per delle lezioni, che prevedono esplicitamente lo scambio di informazioni tra una persona che conosce un argomento e un’altra che invece o lo ignora o lo sa solo in parte.
Chiaramente scenari come quelli descritti lasciano l’amaro in bocca, dal mio punto di vista di insegnante. E ancora di più quando questi atteggiamenti vengono perpetuati dagli insegnanti stessi. Ho sentito racconti di insegnanti che snobbavano completamente altri musicisti professionisti per motivazioni per lo più legate all’invidia.
“Sì è bravo ma non ha tecnica” – “Sì è tecnico ma non ha feeling” – “Sì è un ottimo fisarmonicista, ma dai, suonare la fisarmonica ci riescono tutti, mica come fare lo sweep picking…”
Sono tutti commenti che ci si può aspettare da chi ha incanalato nel corso degli anni solamente frustrazione per non essere riuscito a raggiungere i propri obiettivi. Che il più delle volte comprendono, nella mente di questi personaggi, il diventare famosi senza fatica.

Mi colpì molto un’intervista a Zucchero di qualche tempo fa. Disse che si trovava molto bene a comporre musica coi big e con i musicisti di strada, perché gli artisti di “medio calibro” sembravano voler difendere la propria musica come se qualcuno potesse rubarla. E questo non fa assolutamente bene allo sviluppo musicale.
Se per caso tu, lettore, ti ritrovi in una delle situazioni elencate sopra, ti prego. Fai un favore a tutti quanti, ma soprattutto a te stesso: inizia con lo sviluppare una buona dose di umiltà, aggiungi un po’ di forza di volontà, mescola il tutto con un bel po’ di studio e avrai la ricetta più gustosa e succosa per andartene dalla mediocrità.

 

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Una località bellissima che ti accoglie in una comfort zone, dove critichi tutto senza fare realmente nulla.

 

Stefano Rossi

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